IM Arte di tanto in tanto ricorderà personaggi che hanno dato il proprio contributo all’Arte.

Oggi voglio ricordare Germano Celant, storico e curatore dell’arte italiano, che ieri ci ha lasciati ad 80 anni dopo una carriera ricca di eventi.

Genovese, nato nel 1940 fu allievo all’università di Eugenio Battisti.

A soli 27 anni, nel 1967 curò e coniò il termine della mostra “Arte Povera”(per i materiali poveri), designando un gruppo di artisti italiani: Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Pino Pascali ed Emilio Prini, esposti nella prima mostra alla Galleria La Bertesca di Genova. Artisti divenuti di fama internazionale.

Celant avrebbe specificato, in un’intervista a Repubblica nel 2017, che Arte Povera “è un’espressione così ampia da non significare nulla. Non definisce un linguaggio pittorico, ma un’attitudine. La possibilità di usare tutto quello che hai in natura e nel mondo animale. Non c’è una definizione iconografica dell’Arte Povera”.

Sempre alla Bertesca di Genova presentò in contemporanea Im-Spazio (Bignardi, Ceroli, Icaro, Mambor, Mattiacci, Tacchi), “nuova dimensione progettuale che mira ad intendere lo spazio dell’immagine, non più come contenitore ma come campo di forze spazio-visuali.

Celant delineò la teoria e la fisionomia del movimento attraverso mostre e scritti come Conceptual Art, Arte Povera, Land Art del 1970.

Dopo la mostra Off Media, svoltasi a Bari nel 1977, anche Celant, dalla Bertesca decolla a livello internazionale: collabora presto con il Guggenheim di New York, del quale divenne in seguito senior curator. Nel museo americano cura nel 1994 “Italian Metamorphosis 1943-1968”, una sommatoria della ricerca artistica del Dopoguerra che dimostrava quanto internazionale fosse la ricerca artistica italiana.

L’intendimento di internazionalizzare l’arte italiana aveva già caratterizzato le mostre al Centre Pompidou di Parigi (1981), a Londra (1989) e a Palazzo Grassi a Venezia (1989).

Nel 1996 curò la prima edizione della Biennale di Firenze Arte e Moda evidenziando un concetto di arte in costante evoluzione, strettamente connesso con la cultura contemporanea intesa come espressione dinamica di una creatività globale. Nel 1997 venne nominato direttore della 47ª Biennale d’Arte di Venezia.

Fu anche il primo grande curatore-star, con il suo giubbotto di pelle nera e gli occhiali scuri diventò ben presto un’icona, egli stesso.

Collaboratore di note riviste fra le quali L’Espresso, Celant, dopo aver realizzato a Genova la grande mostra Arti & Architettura (2004), fu direttore della Fondazione Prada a Milano e curatore della Fondazione Emilio Vedova a Venezia. Inoltre organizzò la mostra Art & Food alla Triennale di Milano, in occasione di Expo 2015.

A Genova, dopo aver mietuto successi in tutto il mondo, tornò solo dopo che, non senza molti ostinati tentativi, lo chiamò il sindaco Giuseppe Pericu: lo voleva protagonista di uno degli eventi chiave di Genova 2004, città europea della cultura. E Celant firmò una delle mostre clou di quell’anno, “Arte e Architettura”, che stra-bordò dalle sedi museali, invase la città e introdusse, ancora una volta, un elemento di aggiornamento davanti agli occhi, un po’ allibiti della sua compelssa città: le due discipline si erano ultimamente intrecciate, l’architettura prendeva a prestito dall’arte forme straordinarie per realizzare edifici, l’arte dialogava con l’architettura nel ritrovare una sua vocazione funzionale.

Collaboratore dell’Espresso, direttore della Fondazione Prada a Milano, della Fondazione Vedova a Venezia, partecipò anche all’Expo di Milano nel 2015, firmando un’esposizione specifica, “Art & Food”.

L’ultima mostra da lui curata e realizzata in collaborazione con il Guggenheim di Bilbao è stata l’importante monografica sull’artista statunitense Richard Artschwager, la sua prima antologica italiana, che si è tenuta tra l’ottobre del 2019 e il febbraio 2020 al Mart di Rovereto.

Celant è morto ieri, il 29 aprile 2020 all’ospedale Ospedale San Raffaele di Milano, a seguito della pandemia di COVID-19.

Oggi il territorio dell’arte è percorso da una moltitudine di linguaggi che fanno ricorso a tutti i media possibili, dal video al telefono, dal libro al disco, dal vestito alla fotografia, dalla pittura al film, dalla scultura al computer. Ogni identità è messa in discussione per cercare un interscambio e un intreccio che, utilizzando i mezzi artigianali e tecnologici, conducano alla produzione di immagini inedite e sorprendenti che riguardano sia lo spazio urbano che l’oggetto quotidiano. Così accanto all’occhio, oggi si aggiungono tutti i sensi, per ottenere una partecipazione allargata che non escluda alcun immaginario, dal concettuale al sensuale. Un’avventura cominciata con le avanguardie storiche, dal futurismo al costruttivismo, dal dadaismo al surrealismo, che è esplosa nel ventesimo secolo per arrivare a oggi, così da coincidere con una globalizzazione artistica che si va affermando attraverso reti e sistemi di comunicazione mondiale. Uno sconfinamento da una materia all’altra, da una tecnica all’altra, da un’espressività all’altra che il libro documenta sul piano storico e contemporaneo, entrando nel panorama della moda e della televisione, del design e dell’architettura, del cinema e della musica così da decodificare il mimetismo che regola il mondo delle immagini e l’indistinguibilità formale che regna nell’arte

artmix di germano celant