Le tue mani le ricordo ancora. Tenevano stette le mie.

Erano sempre calde. Tendevi a chiudere le mie in pugni e le serravi fra le tue.

Ed io, mi sentivo bene.

Quelle mani che sapevano tante cose, come pensare, come progettare, come mettere in pratica quel fiume di idee e curiosità.

Oggi ho visto un passerotto, credo. Un uccellino. Non me ne intendo di specie.

Era piccolo e dolce, si reggeva in modo esile sulle sue zampette, proprio lì sulla mia ringhiera.

Non so perché, non credo sia più un caso ormai, ma spesso quando ti penso ne arriva uno e saltella fuori dalla mia finestra.

La tua anima, chissà se mi ascolta, se mi pensa, se a lei manco.

A me manca la tua.

Mi sembra ieri quando mi raccomandavi di dar da mangiare ai canarini e mettere l’uovo finto nel nido per farli covare.

Che grossa responsabilità, pensai lì per lì, ma me la sarei presa se avessi potuto.

Ti avrei abbracciato ancora se avessi potuto.

Ti sarei stata accanto se avessi potuto.

Non ho potuto.

Mi facesti promettere che un giorno mi sarei presa l’impegno, un impegno troppo grande per me, un impegno che costava un addio, che non ho potuto mantenere, dal quale sono anche scappata a dir la verità.

Quando ci penso ho un peso al cuore, non ti ho ricambiato quel poco che mi chiedevi.

Avevi scelto una vita troppo pacata nei tuoi ultimi anni. Troppo pacata per l’avventura che cercava sempre il tuo cuore.

Uno spirito libero che ha sempre respirato a pieni polmoni, uno spirito libero a cui hanno tolto proprio il respiro.

Mi raccontavi di te, delle tue avventure, di giungle inesplorate, animali per amici e Indiani e capi tribù per curatori.

Io ti ascoltavo.

Con te lo scambio di pensieri era sempre allettante.

Cucinavamo insieme, avevi il senso del gusto molto fine ed un piatto per ogni pietanza.

Dei panini sempre pronti all’evenienza e sott’olii che non mancavano mai nella dispensa in basso.

Casa tua era un pò casa mia. Avevo le chiavi e mi bastava dirti che arrivavo e tu mi aspettavi.

Cioccolato caldo, due chicchiere, un pò di musica, un cartone di Tom & Gerry e io ero a casa.

La tua casa era il mio rifugio.

Ho una ghianda conservata, la ghianda di una quercia che immagino immensa.

L’abbiamo raccolta insieme. E’ in un fazzoletto, come il tuo odore e le mie lacrime.

A volte mi è sembrato di vederti di spalle. Di spalle eri proprio tu, di viso eri solo un dolore, il mio dolore nell’essermi illusa.

Ho cercato di tenerti a me, ho capito di non riuscirci nel momento che iniziasti a parlare di te come un peso.

Ho cercato di starti accanto, ma i silenzi erano troppo forti.

Ho pensato di accompagnarti allora, fino in fondo, fino all’ultimo, fino a che le mie gambe si trascinavano dove si fermavano le tue.

L’ho fatto.

Tu c’eri, io anche….ma non come prima.

Oggi, chissà se mi pensi come io penso a te.

Chissà se ci sei, come hai sempre fatto.

Io sono sempre qui.

Chissà se io posso imparare a sentirti come all’ora.

Chissà se ancora mi ascolti, io ancora vorrei.

[I. M.]

IM Arte